Del Direttore Generale

Non deve sorprendere se dedico questo spazio alla vicenda delle dimissioni (ritirate) del Direttore Bellantoni. L’ho conosciuto quando era ancora al vertice dell’apparato amministrativo dell’Università di Milano Bicocca e ho visto subito in lui la persona dotata delle qualità giuste per risolvere i grossi problemi nei quali si dibatteva l’ateneo di Catania in quel momento. Difronte ai fatti di questi giorni mi sono trovato a domandarmi cosa avevo visto in quell’uomo. Doti di grande manager? Facile dimostrarle in una piccola Università come quella di Bicocca. Integrità morale? Si può essere moralmente integri fino a diventare integralisti. Simpatia e umanità? Io stesso posso spesso apparire antipatico ma penso di garantire un buon rapporto umano con tutti coloro che interagiscono con me. Allora cosa? In quella persona ho visto saggezza, quella rara virtù che vale più dell’intelligenza e della fortezza, della bontà e del coraggio. L’uomo saggio, infatti, deve saper integrare le proprie capacità con quelle di chi collabora con lui nell’ottica di un giusto equilibrio tra energie spese ed energie risparmiate. Diceva infatti Confucio che “il saggio esige il massimo da sé, l’uomo da poco si attende tutto dagli altri”.

La rivincita

Lo dichiaro in premessa: le graduatorie non mi piacciono. Soprattutto quelle che sono formulate sulla base di criteri poco chiari e stilate da sconosciuti valutatori che potrebbero nascondere molteplici conflitti d’interesse. È per questo motivo che le classifiche delle università italiane che periodicamente vengono pubblicate su vari organi di stampa non mi convincono affatto. Sono le classifiche che vedono sistematicamente l’ateneo catanese collocato nelle ultime posizioni, mortificato nel ruolo di fanalino di coda, relegato a svolgere la parte di eterno convalescente nel panorama universitario nazionale. Mi sono sempre guardato dall’attribuire piena credibilità a queste graduatorie, anche se esse sono servite nel recente passato a dare una sferzata di rinnovamento alla nostra università per spingerla a risalire la china. Oggi mi sono chiesto se non sia possibile che graduatorie formulate da valutatori stranieri (probabilmente con criteri più obiettivi e trasparenti) ci attribuiscano una posizione migliore di quella che ci viene affibbiata da sconosciute agenzie e pubblicate sulle testate nazionali. Spulciando la classifica pubblicata da un’agenzia internazionale, il “Center for World University Rankings (CWUR)” per il 2018-2019 mi sorprendo a trovare l’Università di Catania in posizione 527 a livello mondiale, corrispondente alla 27 a livello nazionale. Ma questa scoperta mi induce ad andare oltre, e scopro che il nostro ateneo è avanti all’università di Salerno, a quella di Cagliari, di Udine, della Calabria, della “Vanvitelli” di Napoli, del Piemonte Orientale, del Salento, di Messina (relegata alla trentanovesima posizione), L’Aquila, Politecnico delle Marche, Sassari, Bari, dell’Insubria, della “Gabriele D’Annunzio”, e a diversi atenei blasonati come il Politecnico di Torino, l’ateneo Roma tre, l’Università di Brescia. Altre (come quella di Enna) non sono nemmeno classificate. Una rivincita per chi, come me, non crede alle classifiche domestiche (e addomesticate).