Il quesito

I numeri parlano chiaro: i medici di età compresa tra 25 e 64 anni sono più femmine che maschi.
Solo cinque anni fa gli iscritti maschi negli albi degli Ordini dei medici con età inferiore ai 64 anni erano circa 23mila più delle femmine. Bisognerà proporre all’Accademia della Crusca un quesito: qual è il femminile della parola “medico”?

Numero chiuso, problema aperto

Si riparla di abolizione del numero chiuso a Medicina. Jacques Monod, premio Nobel per la Medicina del 1965, riteneva che l’evoluzione è dovuta al caos che diventa necessario per le modificazioni del DNA. Soltanto il caos è all'origine di ogni novità, da cui l’espressione che sintetizza il pensiero dello scienziato: il caos e la necessità. Aprire il numero chiuso a Medicina sembra una necessità, ma determinerebbe il caos. Come affrontare il numero esorbitante di studenti che invaderanno il Corso di Laurea? Come risolvere il problema delle strutture didattiche, delle aule in particolare già insufficienti per soddisfare tutte le esigenze che deriverebbero da una popolazione studentesca molto più ampia dell’attuale? Il Ministro dell’Università tace.

Il CENSIS ha dato i numeri

Il CENSIS ha dato i numeri, come ogni anno, e ha decretato che l’università di Catania (classificata mega-ateneo con un numero di iscritti superiore a 40.000 unità) si colloca al nono posto della relativa graduatoria nazionale. Le altre siciliane si ritrovano in graduatorie differenti perché considerate di minori proporzioni: Palermo (ma non aveva più studenti di quella di Catania?) è al settimo posto, Messina al dodicesimo nella graduatoria degli atenei con 20.000-40.000 iscritti. Ormai non mi sorprendo più: il CENSIS deve blandire gli atenei del Nord e ci riesce molto bene. Deve sedurre chi può commissionargli studi milionari, e merita quindi maggiore considerazione. Questa volta, però, le graduatorie sono talmente malformate che assomigliano più ad un aborto che ad un parto distocico, e le critiche si sono scatenate dai quattro punti cardinali. La prima e più importante è che queste famose graduatorie si basano su dati non verificabili e soprattutto non verificati, forniti direttamente dagli atenei. Come possiamo essere certi che, per esempio, l’università Kore di Enna (che compare in quarta posizione tra i medi atenei non statali) abbia strutture di valore superiore a quelle della Luiss di Roma? Seconda, non meno importante, è che le graduatorie sono formulate esclusivamente su valutazioni riguardanti i servizi e non la didattica o la produzione scientifica. Ciò significa che un ateneo che abbia aule moderne e funzionali, ma docenti ignoranti e scientificamente squalificati si può trovare in cima a queste graduatorie. Ma anche all’interno degli stessi indicatori utilizzati dal CENSIS c’è qualcosa che non va: per esempio, quello relativo alle borse di studio. L’indicatore non misura, infatti, la capacità di offrire borse agli studenti, bensì il bisogno o la richiesta dell’utenza in termini assoluti.
Tuttavia, ciò che lascia più perplessi è l’affermazione conclusiva che il Direttore del CENSIS, Massimiliano Valeri, presenta alla stampa nazionale sulla base di questi dati: gli atenei italiani devono puntare su ciò che l’Italia offre, cioè “il design e la moda”. E propone questa indagine come guida per la scelta dell’università da parte degli studenti delle scuole medie superiori. Ridicolo: il CENSIS propone di mandare al macero tutta la cultura scientifico-umanistica del nostro Paese per promuovere le nuove tendenze del sapere moderno? Mi spiace, mi dichiaro non disponibile.