Ospedale San Marco, ecco gli obiettivi della Clinical Trial Unit
Ospedale San Marco, ecco gli obiettivi della Clinical Trial Unit
Insanitas entra nel cuore della struttura attraverso i racconti di pazienti affetti da patologie oggetto di sperimentazione.
CATANIA. Comincia a prendere forma il Centro di sperimentazione clinica di Fase I, dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Policlinico G. Rodolico-San Marco” di Catania, inaugurato il 16 luglio nel corso di un webinar, per presentarlo ufficialmente alla comunità scientifica e medica e mostrarne le caratteristiche e peculiarità.
Un centro multidisciplinare e multifunzionale che ha al suo interno il primo centro studi di fase I di Pediatria, in corso di accreditamento, l’unico dell’Italia centro-meridionale.
Ma non solo, i percorsi assistenziali riguardano altre branche mediche, che vanno dall’Oncologia, all’Ematologia, dalla Fisiatria agli studi di bioequivalenza su volontari sani.
L’obiettivo è migliorare gli standard di trattamento e l’offerta sanitaria, che consente l’inserimento della Sicilia in un Network Europeo.
La Clinical Trial Unit si trova al terzo piano della palazzina 1 del Policlinico e ha un’attività programmabile, coordinata da un team di esperti, tra cui clinici di varia estrazione, medici farmacologi, infermieri, un responsabile del settore tecnico e del coordinamento funzionale, e un responsabile della CRO (la Unifarm), come figura di raccordo per promuovere, coordinare ed eseguire ricerche sia fondamentali che applicative nell’ambito della Farmacologia Clinica e nello sviluppo di nuovi farmaci.
«Quello che offriamo al mercato della ricerca- commenta il professore Filippo Drago, Medico Farmacologo CTU e PCTU- Direttore UO Farmacologia Clinica e Farmacovigilanza del Policlinico- è un rinnovato impegno in una struttura innovativa e all’avanguardia».
Il centro darà la possibilità ai pazienti siciliani di essere trattati nell’ambito di studi clinici con farmaci altamente innovativi, evitando la migrazione sanitaria verso le strutture del Nord Italia e all’estero.
Oggi Insanitas entra nel cuore della Clinical Trial Unit, attraverso i racconti di pazienti affetti da patologie oggetto di sperimentazione all’interno della struttura.
di Elisa Petrillo
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Covid19, l’approccio farmacologico e le prospettive future
In un’emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo, non si può fare affidamento su farmaci già approvati dalle Autorità Sanitarie perché dimostratamente efficaci sulla malattia. Troppo poco tempo è infatti trascorso dall’inizio della pandemia perché un farmaco possa essere reso disponibile per la terapia della polmonite da COVID-19. In attesa di un farmaco certamente efficace o del vaccino, la cura di questi malati si fonda quindi sull’uso di farmaci off-label (cioè non approvati per questa specifica indicazione).
Ad affermarlo è il farmacologo e docente dell’Università di Catania Filippo Drago che interviene sull’approccio farmacologico in tema di Coronavirus.
“La gamma di questi presidi è abbastanza ampia e va da farmaci antivirali approvati per infezioni da Ebola, l’HIV o l’influenza – continua – (remdesivir, lopinavir/ritonavir, darunavir/cobicistat, favipiravir), a farmaci contro la malaria (la clorochina), contro l’artrite reumatoide o altre malattie su base autoimmunitaria (l’idrossiclorochina, il tocilizumab, il sarilumab, il siltuximab, l’eculizumab), a farmaci per la mielofibrosi (ruxolitinib), anticoagulanti (enoxaparina, gabesato), antiparassitari (ivermectina), e altri. C’è da dire che solo i farmaci autorizzati da AIFA o per i quali l’Agenzia ha autorizzato uno studio clinico presentano un fondamento scientifico sebbene sempre di ordine ipotetico. Su questi principi sto gestendo la terapia off-label dei pazienti COVID-19 come responsabile dell’Unità Operativa di Farmacologia Clinica del Policlinico Universitario di Catania, identificato dall’Assessorato Regionale alla Salute come Centro hub per la Sicilia Orientale per la gestione del trattamento con farmaci off-label di questi pazienti”.
Che validità ha secondo lei questo farmaco, il tocilizumab?
L’uso del tocilizumab nella terapia della polmonite da COVID-19 si è diffuso in tutta Italia grazie all’autorizzazione da parte di AIFA di uno studio clinico proposto da alcuni colleghi dell’Istituto Tumori di Napoli. Oggi è probabilmente il farmaco off-label più diffusamente utilizzato in Italia per questa malattia. Si tratta di un anticorpo monoclonale attivo contro il recettore dell’interleuchina-6, uno dei principali mediatori dell’infiammazione. L’efficacia del tocilizumab nei confronti dell’infezione da coronavirus è stata ipotizzata sulla base della dimostrazione che il farmaco è certamente efficace in una condizione analoga, la “sindrome da rilascio di citochine” che si verifica nel corso di un trattamento geno-cellulare chiamato CAR-T. La sua potenziale efficacia nel COVID-19 è stata proposta in alcuni studi clinici preliminari svolti in Cina.
Per quanto riguarda invece i farmaci alternativi come siltuximab, sarilumab, enoxaparina, come procede la ricerca?
Sono farmaci con meccanismi d’azione diversi. I primi due sono anticorpi che attaccano l’interleuchina-6 o il suo recettore. L’enoxaparina è un anticoagulante di uso ampio e diffuso soprattutto per la prevenzione del trombo-embolismo venoso in varie situazioni cliniche. Il suo uso nella terapia di pazienti affetti da COVID-19, già impostato nelle prime esperienze cliniche in Cina, è stato inserito nelle linee-guida dell’OMS e in quelle della Società Italiana di Malattie Infettive. La novità è data da uno studio clinico, approvato qualche giorno fa da AIFA su proposta mia, del Prof. Viale di Bologna e altri colleghi, che ha lo scopo di dimostrarne l’efficacia su questi pazienti a dosi medio-alte e con un approccio terapeutico e non preventivo. La base razionale dello studio è l’evidenza che nelle indagini autoptiche eseguite su soggetti deceduti per COVID-19 un reperto molto frequente era rappresentato dall’embolia polmonare massiva associata ad una coagulazione intravasale disseminata (CID). L’enoxaparina, quindi, essendo un farmaco di fascia A prescrivibile anche dai medici di Medicina Generale, può rappresentare un valido strumento non solo per la prevenzione ma anche per la terapia dei fenomeni trombo-embolici che sembrano essere causa della morte di questi pazienti. Per il siltuximab, la nostra Unità Operativa ha presentato ad AIFA richiesta di approvazione di uno studio clinico per pazienti che non hanno risposto al trattamento con tocilizumab.
Lo smog può essere legato ad un aumento del tasso di mortalità del COVID19, motivo per cui da noi la diffusione è più contenuta?
Questa ipotesi è stata formulata sulla base della considerazione che la Cina ha sofferto in maniera particolare della pandemia per il suo alto livello di inquinamento atmosferico. La realtà è che nelle aree dove si registra un alto livello di inquinamento atmosferico sono più frequenti le malattie respiratorie acute e croniche. È un dato epidemiologico che i pazienti affetti da questo tipo di malattie sono più soggetti all’infezione da COVID-19.
Rimanendo in tema, si parla della chiusura della stagione balneare, sembra opportuno chiedersi in che modo e se andare al mare può contribuire alla diffusione del contagio?
C’è poco da dire in proposito. La chiusura della stagione balneare è possibile se con la venuta dell’estate la diffusione del virus fosse ancora sostenuta, come indicato da un significativo numero di individui positivi alle indagini di screening. Certamente non si potrebbe andare in spiaggia con la mascherina e con i guanti, né sarebbe verosimile potere rispettare le norme sul distanziamento sociale. Ne deduco che andare al mare in queste condizioni potrebbe contribuire certamente alla diffusione del contagio. Mi auguro personalmente che non si arrivi ad applicare questa misura.
In che modo la situazione potrebbe migliorare?
Dobbiamo augurarci che il livello di diffusione del contagio possa ridursi a tal punto da giustificare la ripresa della nostra vita normale. La situazione potrebbe migliorare solo con il rispetto delle regole imposte dal Governo, che a mio avviso deve anche guardare all’esperienza di altri Paesi che hanno sostanzialmente risolto il problema della pandemia, come la Cina o la Corea del Sud, o al modello sanitario di quei Paesi europei che, già colpiti dal contagio, stanno già programmando il riavvio delle attività sociali ed economiche.